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USA, dazi sull’e-commerce: cosa cambia per i brand europei

Gli Stati Uniti eliminano l’esenzione dai dazi per gli acquisti e-commerce dalla Cina, colpendo piattaforme come Temu e Shein. Questo potrebbe spingere i flussi verso l’Europa, con impatti su concorrenza e logistica. L’UE valuta a sua volta una revisione del de minimis.

Pubblicato 7 Mag 2025
USA, dazi sull’e-commerce: cosa cambia per i brand europei

L’intervento di Vito Perrone su la Repubblica analizza le nuove misure doganali annunciate dagli Stati Uniti e le loro conseguenze sul commercio digitale globale. Un cambiamento che potrebbe influenzare profondamente anche il mercato europeo.

Introduzione: un nuovo scenario globale per l’e-commerce

Il commercio elettronico internazionale sta attraversando una fase di trasformazione accelerata, sospinto da innovazioni tecnologiche, mutamenti nelle abitudini di consumo e — sempre di più — da decisioni politiche che incidono sulla libera circolazione dei beni. Gli Stati Uniti hanno recentemente annunciato un cambio di rotta nelle politiche doganali verso la Cina, destinato a incidere non solo sul traffico merci transpacifico, ma anche su quello transatlantico.

In questo contesto, l’intervento di Vito Perrone — CEO di Yocabe — su la Repubblica offre una lettura chiara e realistica delle conseguenze che queste decisioni potrebbero avere sui brand europei, sugli operatori della logistica e sui marketplace internazionali.

La fine del de minimis per gli acquisti dalla Cina: cosa significa

Negli Stati Uniti, fino a pochi mesi fa, la soglia di esenzione dai dazi doganali (de minimis) era fissata a 800 dollari. Questo significava che qualsiasi acquisto effettuato da un consumatore americano sotto questa cifra — anche se importato — non era soggetto a dazi né ad altre imposte doganali.

Una soglia particolarmente generosa, se confrontata con quella europea di 150 euro. Ma che oggi, almeno per le merci provenienti dalla Cina e vendute tramite e-commerce, è stata drasticamente rivista.

L’amministrazione Trump ha annunciato l’eliminazione del de minimis per questi prodotti, sostituendolo con un dazio fisso pari al 30% del valore dell’articolo (o, in alternativa, 25 dollari per articolo, qualora il 30% corrisponda a una cifra inferiore). Una misura che punta a colpire direttamente piattaforme come Temu, Shein e simili, noti per la vendita di prodotti a bassissimo costo, spesso spediti direttamente ai clienti finali americani dai magazzini cinesi.

Una misura mirata, ma dalle ripercussioni globali

Come ha osservato Vito Perrone nell’intervista, “quella merce sarà meno conveniente per i consumatori americani”. Ma il punto più interessante riguarda ciò che potrebbe accadere dopo: “Il rischio è che venga dirottata verso l’Europa, con effetti concreti anche per i nostri mercati”.

Il meccanismo è semplice: se gli Stati Uniti — che rappresentano uno dei più grandi mercati al mondo per l’e-commerce — diventano meno appetibili per determinati player internazionali, questi cercheranno nuovi sbocchi commerciali. L’Europa, con normative ancora permissive e consumatori digitalizzati, diventa il prossimo obiettivo naturale.

Come funziona oggi il modello distributivo delle grandi piattaforme cinesi

Negli ultimi anni, giganti come Temu e Shein hanno rivoluzionato la logica della distribuzione e-commerce. Se in passato il modello prevedeva l’esportazione verso distributori locali (negli USA o in Europa), oggi l’approccio è totalmente diretto: i prodotti vengono impacchettati, etichettati e spediti direttamente dal produttore al cliente finale.

Questa catena cortissima ha abbattuto i costi, accorciato i tempi di consegna e ridotto la necessità di infrastrutture locali. Ma ha anche sollevato numerose criticità:

  • Evasione del dazio doganale, sfruttando le soglie de minimis;
  • Scarsa trasparenza sulla qualità e origine dei prodotti;
  • Pressione sui corrieri e sui sistemi logistici locali, sovraccaricati da milioni di pacchi singoli;
  • Danni ambientali legati all’inquinamento da trasporti e imballaggi;
  • Concorrenza sleale nei confronti di produttori europei che rispettano norme fiscali e ambientali più stringenti.
USA, dazi sull’e-commerce: cosa cambia per i brand europei

La risposta europea: riformare il de minimis

Anche in Europa, da tempo si discute della necessità di rivedere la soglia dei 150 euro per l’esenzione dai dazi. Secondo uno studio della società di consulenza Copenhagen Economics, l’eliminazione totale del de minimis avrebbe un impatto diretto medio di circa 62 euro all’anno per ogni singolo consumatore europeo.

Ma il costo più alto lo pagherebbero aziende e pubblica amministrazione: si parla di oltre 2,3 miliardi di euro in costi per gestire le nuove pratiche doganali e per l’adeguamento delle infrastrutture digitali e logistiche.

Nonostante ciò, l’eliminazione del de minimis resta sul tavolo, anche per ragioni ambientali e concorrenziali. In Italia, ad esempio, arrivano oltre 3,5 milioni di pacchi al giorno solo dalle piattaforme e-commerce. Un numero che incide pesantemente sulla rete stradale, sulle emissioni di CO₂ e sui ritmi di lavoro dei corrieri.

Temi emergenti: protezionismo digitale e “slowbalisation”

Come osserva anche Roberto Liscia, presidente di Netcomm, il consorzio del commercio digitale italiano, queste politiche possono essere lette come l’inizio di una nuova fase di globalizzazione rallentata, definita “slowbalisation”.

Un contesto dove la logica della liberalizzazione illimitata lascia spazio a nuove forme di controllo dei flussi, protezione delle economie locali e maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale.

Liscia sottolinea anche un altro punto critico: il protezionismo digitale, ovvero il rischio che barriere normative e fiscali limitino la libera circolazione dei dati e dei beni digitali, frenando l’innovazione e creando nuove disuguaglianze economiche.

Quali rischi (e opportunità) per i brand europei?

Per i brand che operano nel commercio digitale, lo scenario che si sta delineando presenta almeno tre implicazioni principali:

  1. Maggiore complessità normativa

Le aziende dovranno affrontare sistemi di regole sempre più diversificati, dove il semplice concetto di “vendita online internazionale” comporta adempimenti doganali, fiscali e ambientali differenti a seconda del paese di destinazione. Questo richiederà risorse, formazione e spesso il supporto di partner specializzati.

  1. Rischio di competizione irregolare

Se l’Europa non dovesse adeguarsi rapidamente alle nuove regole statunitensi, il rischio è quello di diventare il terminale di tutto ciò che non può più essere venduto in USA. Questo renderebbe ancora più difficile la competizione per i brand europei, costretti a confrontarsi con prezzi irrealistici, bassi standard qualitativi e logiche di volume insostenibili.

  1. Opportunità di differenziazione

Allo stesso tempo, questo scenario offre nuove opportunità per chi sa valorizzare elementi come qualità, tracciabilità, sostenibilità e trasparenza. I consumatori sono sempre più attenti a ciò che acquistano e premiano le aziende che comunicano con autenticità e chiarezza.

Il ruolo della logistica e della dogana: un sistema sotto pressione

Un altro attore centrale di questa trasformazione è il sistema logistico. Come riporta la Repubblica, sempre più operatori denunciano difficoltà crescenti nel gestire il flusso di merci. La disponibilità di cargo aerei è limitata, in parte assorbita proprio dai colossi dell’e-commerce cinese, e le spedizioni subiscono ritardi e incertezze dovute alla crescente complessità normativa.

Inoltre, anche il ruolo dei doganalisti e degli spedizionieri professionisti sta cambiando: non si tratta più solo di compilare documenti, ma di fornire consulenza strategica, interpretare regolamenti in continua evoluzione e aiutare le aziende a evitare errori che possono costare caro.

Conclusioni: verso un nuovo equilibrio

Il commercio elettronico non sta rallentando: si sta trasformando. I grandi numeri degli ultimi anni, alimentati da dinamiche di prezzo estremo e supply chain iper-compressive, non sono più sostenibili. I governi, a partire dagli Stati Uniti, stanno reagendo — e l’Europa è chiamata a fare lo stesso.

Per i brand, è il momento di ripensare il proprio modello di vendita internazionale. Non basta essere presenti sui marketplace: serve una strategia consapevole, costruita su regole aggiornate, sostenibilità reale e una logistica efficiente.

 

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🔗 Leggi l’articolo su la Repubblica

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